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Helmut Newton e la celebrazione del lusso
Del 22/01/2013 di Lucia Conti - Nato ebreo-tedesco, naturalizzato francese, morto ad Hollywood: storia breve di un'icona della moda
Figlio della buona borghesia berlinese, Helmut Newton è costretto ad abbandonare la Germania a seguito delle leggi razziali, si imbarca avventurosamente sul piroscafo "Il conte rosso", approda a Singapore, lavora come fotografo per "Straits Times" e milita nell'esercito australiano, durante il secondo conflitto mondiale.
Un inizio rocambolesco che presto cede il passo a un'ascesa brillante, nell'ambito di una professione che consacrerà il suo nome.
Dopo la guerra, infatti, quello che diventerà il "gran visir" della fotografia patinata, comincia la sua carriera di fotografo free lance consacrato alla bellezza femminile, collabora con "Playboy" e alla fine, trova la sua naturale collocazione nel mondo della moda.
Parigi elargisce la benedizione finale e Newton comincia a lavorare per giornali come Vogue, Elle, Vanity Fair, Marie Claire, Max e molti altri, nonchè per brand come Chanel, Yves Saint Laurent, Gianni Versace, Dolce e Gabbana e Blumarine. Vive tra Montecarlo e Los Angeles, muore ad Hollywood in un incidente d'auto che arresta la sua vita sul muro del famoso Chateau Marmont e viene sepolto nel cimitero ebraico di Berlino, vicino a Marlene Dietrich... insomma, più che un fotografo è un'icona, un'icona del suo tempo, del suo contesto, della cosiddetta "superficialità mainstream".
Pur sperimentando tutte le possibili varianti della tecnica, Newton rimane un sostenitore della foto amatoriale, che considera filosoficamente più efficace, sceglie la borghesia come soggetto d'elezione, motivando la cosa con affermazioni ai limiti dell'imbarazzante ("Per me una donna borghese è più erotica di una parrucchiera, o di una segretaria. Niente di peggiorativo in queste parole, solo una constatazione", "lo sono superficiale, le mie immagini non sono profonde, non sono un fotografo impegnato, amo quello che è artificiale, bello, divertente ...Il buon gusto è l'antimoda, l'antifoto, l’antidonna, l'antierotismo! La volgarità è vita, divertimento, voglia di reazioni estreme"), si caratterizza per una sorta di erotismo patinato e urbano e per inserti di sado-feticismo e celebra un lusso isterico e vuoto, rispetto al quale si pone non come un avversario critico, ma come un complice osservatore e sommo sacerdote estetico.