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Arthur Conan Doyle: come uccidere Sherlock Holmes
Del 06/02/2013 di Angela Fiore - Il "padre" di Sherlock Holmes considerava il suo capolavoro un'opera minore
"Sto pensando di uccidere Holmes, farlo fuori una volta per tutte. Mi distrae da cose più importanti". Questa era l'intenzione che Arthur Conan Doyle confidava, nel 1891, in una lettera alla madre.
La risposta fu alquanto lapidaria: "Non farlo! Non puoi farlo! Non devi farlo!". Non è infrequnte che un autore di successo preferisca, fra i propri lavori, quelli che il pubblico considera meno rilevanti, ma nel caso di Conan Doyle, questo conflitto di giudizi fu particolarmente evidente.
Le storie di Sherlock Holmes rappresentano, di fatto, una parte relativamente piccola della sua produzione letteraria e sono state scritte in un periodo relativamente breve, precedute e seguite da altri lavori di fiction, da scritti a carattere storico e politico e soprattutto, dalla professione di medico. Tutte queste attività erano, agli occhi di Arthur Conan Doyle, assai più rilevanti e meritevoli di plauso dei romanzi e dei racconti che lo consacrarono per sempre nell'olimpo dei grandi autori moderni.
Una volta dato al mondo Sherlock Holmes, tuttavia, il pubblico scoprì di non poterne fare a meno e, dopo il romanzo che ne descriveva la presunta morte, ci fu una vera e propria sollevazione popolare, che costrinse l'autore a pubblicare una nuova avventura dell'investigatore più celebre di tutti i tempi: Il Mastino di Baskerville.
C'è una certa ironia nel fatto che Holmes abbia da subito vissuto di vita propria, se si considera che il personaggio è tratto quasi interamente da Joseph Bell, uno dei professori di Conan Doyle, alla facoltà di medicina. Bell, aveva introdotto il giovane Arthur, alla sottile arte della deduzione e dell'inferenza, involontariamente conferendo al futuro personaggio, l'infallibile approccio scientifico che lo avrebbe reso celebre.